Sulla scarpata di fronte a casa c'era una 'ascia, 'ome la 'iamano in Toscana, una gaggía come la chiamano in italiano. Entrambe le parole derivano dal latino acacia, anzi, dal greco akakía e questo ha a che fare con le agre, acri spine acute; anche la parola "ago" proviene da lí. E Akazie veniva chiamato anche l'albero della mia infanzia sulla scarpata di fronte. Perché quando Robin, il giardiniere di ben tre re, Henry III., Henry IV. e Louis XIII., lo introdusse in Europa, lo si battezzò Acacia americana. Solo più tardi, scoprendo che non era neanche imparentato con il genere Acacia, gli si attribuì un genere suo proprio e Linneo lo chiamò Robinia pseudoacacia. Era il primo albero del quale scoprìi il forte profumo dei fiori. Amavo molto quell'albero, nonostante a causa delle sue spine non facesse parte di quelli sui quali mi arrampicavo. Non sapevo per molto tempo che fosse un albero americano naturalizzatosi in Europa. Perché non è così invasivo come l'ailanto, che viene dalla Cina e si è esteso molto in Toscana. Lungo il raccordo stradale che porta a Siena p.es. se ne vedono tanti. Perfino sul mio terrazzo a Coverciano era nato uno da un seme arrivato nella cacca di qualche uccello. In Cina è considerato l'albero degli Dei e serve per allevare Samia cynthia.
La prima volta che sentii parlare dell'ailanto fu un pomeriggio a Careggi nel giardino del Principe Volkonsky. C'era con noi un sociologo ungherese e lo slavista Anton Maria Raffo. Anton per darsi delle arie si scusava di fare il saccente e poi ci insegnò che quei due alberi grandi e bellissimi accanto al fico sotto la mia finestra erano una catalpa e un ailanto. Non dimenticherò mai quel momento, perché ero contento che finalmente in questa città maledetta c'era un uomo che non solo aveva una cultura letteraria solida, ma anche un interesse per le vere scienze, quelle della natura. Ed ero molto contento di sapere ora i nomi di quei due alberi alti che delimitavano l'angolo del boschetto in quel grande giardino. L'anno precedente in una meravigliosa giornata di agosto i semi dell'ailanto avevano riempito l'aria come fiocchi di neve leggerissimi che a lungo stavano sospesi viaggiando lontani e che avevano riempito anche il bel pavimento di cotto della mia camera da letto, perché ne avevo lasciato aperto la finestra. Fin qui bene. Poi aggiunse che le aveva portate in Europa Humboldt.
Io mi insospettisco "da sempre" (cioè dal 1967, quando iniziai a sopportare tale disagio), quando qualcuno cerca di sminuire o di elogiare i tedeschi, e quindi controllo. Humboldt non è mai stato in Cina. E dall'America ha portato moltissimi reperti e probabilmente anche i semi di certe piante, ma non la catalpa. Comunque, Anton è stato una delle persone più generose che mai ho incontrato (a Boris non poteva piacere questo anticomunista sfegatato, nonostante anche Boris sia un portatore sano del germe asburgico; forse perché lo spirito asburgico si é nutrito anche dello spirito slavo! In ogni modo, quel pomeriggio dell'estate 83 un piccolo tedesco, uno studioso ungherese e uno slavista italiano assieme a un Principe russo hanno brindato a Cecco Beppe).
Le prime giornate di dolce vita passate con Teresa le avemmo passate tre anni prima, quando non conoscevamo ancora Andrei Volkonsky, nella meravigliosa casa colonica vicino all'Impruneta, dove abitava Anton!! La cucina di quella casa era talmente bella e accogliente... indimenticabile. Un pomeriggio facemmo una visita a sorpresa a Anton portando pane e vino (il pane integrale di un fornaio in Via Faenza e un bottiglione di Ricasoli). Ma lui e KK (KayKay, scultrice, figlia di un governatore statunitense - la proprietaria della casa colonica in cui Anton era coinquilino) stavano per uscire, e così ci lasciavano a disposizione la bella cucina quella sera. Tutto questo 2 anni prima di diventare amici con Andrei. Quale sorpresa, quando una sera Andrei mi pregò di accompagnarlo presso un amico all'Impruneta e finire a casa di Anton! Il mondo è piccolissimo, vero? E il mondo anticomunista di Firenze è ancora più piccolo. Anche Raffaello Majoni apparteneva a questa cerchia. Era contrabasso prima del Maggio, poi per 20 anni dell'Orchestra della Toscana (a volte anche suo direttore). Era figlio illegittimo di un russo che mai ha conosciuto questo padre, ma pur crescendo a Firenze ha imparato a parlare russo perfettamente e cercava sempre la simpatia di Volkonsky. Attorno al 96 finì nelle grinfie di un'israeliana e poi visse a Tel Aviv. Dato che Israele in onore dell'Ucraina ha deciso di festeggiare quest'anno la fine della seconda guerra mondiale assieme all'Ucraina e non assieme alla Russia, puoi immaginarti quanto avrebbe goduto ora delle sue radici sia biologiche sia di consapevole scelta. Ma per sua fortuna nel 2016 è morto. È sempre stato un forte bevitore di vodka, il che è una maniera di fare un uso parsimonioso dei giorni di vita: ha risparmiato la propria vita davanti all'attuale calamità. Volkonsky, Raffo, Majoni sono tutti andati ad patres ormai. Mi manca molto Andrei, ma mi manca poco, perché ho tutti i CD che incise dopo il 75, cioè dopo essere riuscito a lasciarsi alle spalle l'URSS e perché mi appartengono molti ricordi edificantissimi. Anton con verve conservatrice e anticomunista, sollecitando il mio consenso, una volta disse: "Ma perché, se un tavolo ha sempre avuto 4 gambe, bisogna fare dei tavoli che non poggiano su 4 gambe!?" Gli risposi, che con 3 gambe non traballano mai. Per un momento rimase interdetto. Poi sbottò che poteva farmi vedere innumerevoli tavoli che traballavano, fatti dai cosiddetti progressisti. "Sì, sì lo so", gli risposi, "perché hanno almeno 5 gambe".
Anche la Albizia julibrissin (portata da Filippo degli Albizzi a Firenze; gli Albizzi avevano un giardino, dove ora si trova la BNL in Via Ghibellina, angolo Via Verdi, se ben ricordo) viene chiamata gaggía. L'unica vera acacia, la "mimosa" del 8 marzo, cioè la Acacia dealbata che viene dall'Australia, non viene mai chiamata gaggía o acacia. Per la verità c'è un'altra acacia, la Acacia farnesiana proveniente dalle Antille, e questa viene chiamata pure gaggía, stavolta correttamente, nonostante somigli alla "mimosa". Insomma, i fiori della Robinia sono buoni nel riso o fritti in pastella. Ma attenzione, a parte i fiori tutte le altre parti della Robinia pseudoacacia sono velenose!
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