e un essere umano deve ringraziare un altro per
qualcosa di molto prezioso, questa gratitudine deve rimanere un segreto
tra i due». Questo invito di Rilke potrebbe essere trascritto anche per
l’amicizia: ogni ostentazione suona stonata e introduce il brivido di un
sottinteso interesse ad avere qualche lustro personale, soprattutto se
l’amico è importante. Sono, perciò, consapevole di violare questo
principio segnalando due testi, molto diversi tra loro, nelle cui pagine
si affacciano volti a me amici, ma noti a tutti. Nel primo c’è,
infatti, una trilogia di figure che a titolo differente ritrovo nella
mia agenda di persone care. Esse certamente sono superiori per qualità e
fama, eppure nei loro confronti devo confessare di non aver mai provato
il sentimento che La Rochefoucauld flagellava impietosamente: «Ci
riconciliamo con un nemico che ci è inferiore per qualità o di cuore o
di spirito. Ma non perdoniamo mai a chi ci supera nell'anima e nel
genio».
Il trittico di ritratti è presente in un libretto dal titolo scandito dall’understatement, Vedete, sono uno di voi.
Da esso alcuni avranno già riconosciuto due dei tre volti in questione:
si tratta, infatti, del titolo del docu-film che Ermanno Olmi ha
dedicato al cardinale Carlo Maria Martini. Il terzo profilo appare,
invece, nelle pagine del volumetto che appartiene al genere
dell’intervista. A unire i due nella rievocazione è il giornalista e
psicologo analista Marco Garzonio che così ricompone la trilogia: «Di
Olmi, del “nostro” Martini e di me, di questa alchimia di persone, di
esperienze, di storie, di vissuti il libro rende testimonianza». Ora,
come ho già avuto modo di dire in un’altra occasione, la mia prima
recensione che scrissi molti anni fa sul nostro supplemento era
riservata a un’opera di Garzonio sull’incontro di Gesù con le donne.
Egli è anche uno dei migliori conoscitori e interpreti del pensiero e
del ministero pastorale, culturale e civile di Martini come arcivescovo
di Milano ed è stato lui ad accompagnare Ermanno Olmi, un regista dalla
sensibilità umana e spirituale veramente straordinaria, nell’itinerario
documentario del film e nelle interrogazioni di questa intervista.
Conoscendo, dunque, nell’amicizia i tre attori in questione, a me (ma
anche al lettore) è spontaneo e agevole ritrovare non solo il
“festeggiato” ma anche i suoi interlocutori con la loro ricerca
personale. Infatti, in questo contrappunto di domande e risposte si
individua facilmente una filigrana fatta di affinità elettive che
intercorrono tra Martini e i suoi due interpreti.
Penso all’«utopia» evangelica come motore efficace della storia ben
più dell'enfatico realismo di una certa politica e persino di un
efficientismo religioso. Significativa, allora, è la consonanza che con
la «trascendenza» martiniana scoprivano non soltanto i colti ma i
semplici. Afferma, infatti, Olmi: «Ogni capitolo della vita del
cardinale ha potuto rappresentare l'occasione per rivivere emotivamente
un capitolo della nostra stessa esistenza, di ciascuno di noi». E
ancora, ecco le belle intuizioni sulla cultura, consapevoli della
distinzione che Martini poneva tra pensanti e non pensanti prima ancora
che tra credenti e non credenti. O anche la concezione della «storia
della salvezza come storia del rovesciamento delle situazioni», un tema
sempre caro a Olmi, proteso sugli abitanti dei «villaggi di cartone».
È interessante notare che progressivamente le domande
dell'intervistatore aumentano di spessore fino a diventare esse stesse
lineamenti del ritratto che si sta componendo e alla fine è Garzonio a
tirare le fila del dialogo: «Caro Ermanno, con te ho potuto toccare con
mano una somiglianza profonda tra voi due, tra il regista e il
cardinale: la passione per l’uomo, per i suoi sogni, per la Parola che
si fa parole... È la religione dell’uomo, è quella disposizione d'animo
in cui Dio può piantare la sua tenda». Proprio il legame con la Parola
suprema e il suo incarnarsi in parole umane e storiche mi permette il
transito nell’amicizia a un’altra figura, questa volta femminile, la
fiorentina Agnese Cini, nata da padre toscano e da madre svedese così da
poter praticare, oltre al francese e all'inglese, anche questa lingua
scandinava. Ma il suo nome e la parte più intensa della sua vita resta
legata a una sua creazione unica in Italia e rara altrove, Biblia.
Si tratta di un’associazione laica di cultura biblica fondata nel
1984 e da allora sempre viva e attiva nel promuovere, in un paese di
forte tradizione cattolica ma anche di frequente analfabetismo
teologico, la conoscenza di questo «grande codice» (per usare l’ormai
noto lemma coniato da William Blake e “dimostrato” da Northrop Frye)
della nostra civiltà e non solo della nostra religiosità. A questo
compito Agnese – che si è laureata anche in teologia – si è “laicamente”
consacrata con tutta se stessa e con un manipolo di amici e di
appassionati, creando convegni, seminari, corsi, itinerari sulle
Scritture ebraiche e cristiane secondo un taglio culturale,
storico-critico, dialogico con le altre religioni. Della qualità e
dell’originalità di tale impostazione – per altro cara a «laici» come
Eco che spesso s’interrogava sul perché i nostri studenti dovessero
sapere tutto su Omero e su Dante e niente su Mosè e il Cantico dei cantici – fui anch’io testimone più volte con altri esegeti coinvolti in questo progetto.
Un progetto che approdò nel 2010 alla firma di un protocollo d’intesa
col Ministero dell’Istruzione per l’introduzione dello studio della
Bibbia nel percorso scolastico, un ideale che sembra però ancora poco
reale. Ebbene, per far conoscere Biblia e la sua artefice e per
celebrare i suoi 80 anni una teologa, Marinella Perroni, e una
scrittrice, Giusi Quarenghi, hanno convocato venti voci diverse
provenienti da vari ambiti culturali e sociali per una loro
testimonianza. Ne è nata una miscellanea lieve e multicolore aperta
proprio dalla protagonista con un suo saggio dedicato ai Salmi biblici,
mentre tutto il volume è posto all’insegna di uno stico del più esteso
dei 150 Salmi, il 119, fatto di ben 22 strofe ottonarie, di 176 versetti
e di 1064 parole ebraiche (l’intero libro del Salterio comprende 19531
parole): «Mia delizia è la tua Torà», cioè il piacere del credente (ma
non solo) è nella lettura e nell’ascolto dell’“insegnamento” che la
Parola biblica offre.
Essa è «lampada per i passi e luce sul cammino» della vita, per usare
un altro versetto (il 105) di questo imponente «moto perpetuo» della
lode divina, vero e proprio alfabeto innico (il testo è, infatti,
ritmato sulla sequenza delle lettere dell’alfabeto ebraico dall’alef alla tau).
Si dice che Pascal lo recitasse ogni giorno, e questo attesta come
fede, letteratura, filosofia, scienza possano coesistere. È quello che
Agnese Cini ha realizzato col contagio del suo ottimismo, della sua
competenza e della sua autentica passione. Ed è per questo che anch’io
mi associo a una delle due curatrici del Festschrift con l’interrogativo
retorico presente nel canto di chiusura del libro dei Proverbi biblici:
«Una donna così forte chi potrà trovarla?» (31,10). Sole 24 ore
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